PARENTELA CON I
MICOZZI
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Ricordi: (a cura di Francesco Micozzi) Mio nonno Mario Micozzi (1913-2007) rappresenta forse un caso particolare nella famiglia Micozzi. Esso era l’ultimo di 6 fratelli. La sua nascita fu un evento inatteso; il padre Nazzareno era diventato cieco a 35 anni per un incidente sul lavoro e quando Mario nacque ne aveva 42. Dunque Nazzareno non vide mai, letteralmente, suo figlio. Stella Micozzi, sorella di nonno Mario,raccontava che sua madre Pasqualina, durante la gravidanza, piangeva spesso al pensiero di quel bambino che sarebbe cresciuto con un padre cieco e alla tristezza che tutto questo comportava. Eppure forse fu proprio per questa disgrazia che a me oggi sono arrivati alcuni racconti, storie d’altri tempi, che altrimenti sarebbero finiti irrimediabilmente nel dimenticatoio. Mio bisnonno Nazzareno (rigorosamente con due Z, ci teneva molto,come nonno mi raccontò più volte) sembra fosse ancora capace di lavorare, per quanto poteva, nonostante la cecità, ma certamente era impossibile che continuasse come aveva fatto fino a prima dell’incidente. |
Di conseguenza molto del tempo libero (forzato) che aveva lo passava a raccontare storie al suo figlio più giovane; mio nonno Mario, appunto. Uno dei personaggi ricorrenti nelle storie di Nazzareno era Benedetto Micozzi (1841-1912), suo padre; ironia della sorte, morì pochi mesi prima della nascita di Mario, l’unico discendente che poi portò avanti il cognome (all’epoca ci si teneva decisamente); mio nonno, nipote “postumo”, mi ha tramandato alcuni di questi racconti. Benedetto Micozzi lavorava come fattore della famiglia Pantaleoni; pare avesse un’energia sovrumana. A volte partiva col carretto verso monte S.Vicino, dove i Pantaleoni avevano dei possedimenti e tornava dopo una settimana, coi capelli incolti e la barba lunga, affatto stanco come se fosse stato a fare due passi. |
Quando fu costretto ad arruolarsi nell’esercito decise di darsi alla macchia, così fu ricercato come “brigante”. A quei tempi era un grosso problema l’arruolamento forzato, perché se chi era in grado di lavorare veniva messo nell’esercito, chi avrebbe badato poi al lavoro e alla famiglia? Mi pare di sentirlo,con la voce simile a quella di Mario, mentre dice “Se ‘gghjiàvo a commatte co’quìlli,chi fadigàva pe’mme ppo’?!?” Stando a quanto raccontava nonno,solo due volte fu raggiunto; la prima nella zona di C.so Cairoli detta “il pozzo”; lui e i suoi furono circondati dai carabinieri a cavallo. La voce, dice la “leggenda”,si sparse subito: “ha’cchiappato a Benedetto, ha ’cchiappato a Benedetto!” Quando tutto sembrava perduto lui tirò fuori di tasca un sigaro e chiese ad un carabiniere: “Maresciallo, c’ha un bricchetto?”. Aveva chiesto insomma un fiammifero per accendere il sigaro. Questi glielo diede e lui iniziò a sfregarselo sui pantaloni (da dietro verso avanti) come fossero una scatola di fiammiferi. Ad un certo punto diede una sfregata più forte; o meglio, con lo stesso gesto dello sfregare sferrò un pugno al muso del cavallo del maresciallo, che si imbizzarrì e spaventò anche gli altri cavalli. Benedetto e i compari ne approfittarono per dileguarsi. |
La notizia della cattura non aveva fatto in tempo a diffondersi che loro erano di nuovo liberi. L’unica volta che fu catturato davvero e portato in Piemonte scappò il giorno dopo, tornò a Macerata a piedi in 40 giorni e appena arrivato si diresse a villa Pantaleoni, poiché era convinto che fosse stato Diomede Pantaleoni, suo datore di lavoro, a denunciarlo e farlo scoprire. Verità o no (del resto la mancanza di testimoni rende improbabile anche una smentita) pare che Benedetto si sia presentato a Pantaleoni e l’abbia preso per il collo dicendogli che se fosse successo di nuovo gli avrebbe staccato la testa. C’è da considerare che Pantaleoni era un personaggio importante e ci voleva, oltre a parecchio coraggio, anche parecchia incoscienza per un gesto del genere. Ma a quanto pare il poveretto si spaventò parecchio e non tentò alcuna ritorsione. Finita la piaga della leva obbligatoria, Benedetto tornò al suo solito lavoro. Una cosa era cambiata però; forse poco importante ma interessante per chi è curioso di conoscere l’origine dei soprannomi. |
I Micozzi portano da almeno 300 anni il soprannome “Fischiajì” (originariamente “Fischiavino”). Dopo gli avvenimenti che videro Benedetto come protagonista è apparso nei vari registri parrocchiali il soprannome “Ciura” ad accompagnare tutti i parenti di primo grado di Benedetto (fratelli, cugini e loro discendenti). Dunque tutti quelli che sono discesi da Giuseppe Micozzi e Pagnanelli Marianna (i nonni di Benedetto) sono ora soprannominati “Ciura”. Ma il soprannome è nato da lui e poi s’è esteso agli altri; questo è dimostrato anche dal fatto che prima degli eventi del brigantaggio che videro protagonista questo mio trisavolo, suo padre, suo nonno, i fratelli gli zii e lui stesso, erano ancora “fischiajì”. Alla nascita dei suoi figli invece è comparso quel “Micozzi Benedicti vulg. Ciura”. “Ciura” sembra venire da un vecchio modo di dire, “Sì ciuràtu”,ovvero “Hai la faccia di uno che s’è appena svegliato stranito e coi capelli dritti in testa”; sembri un indemoniato insomma. Del resto le parole di mio nonno lo confermavano ; “eh, dicìa lu poru vàbbu, lu poru nonnu era vònu e caru ma ‘ttènte a non pestàje lì calli”. Ad onor del vero, a Mario il soprannome “Ciura” non è mai piaciuto; gli scappò detto una sola volta,mentre s’abbandonava ai ricordi, che proveniva dal fatto che il nonno era stato un brigante; poi non riuscii |
più a cavargli una sola parola al riguardo, ma ormai la curiosità era nata e alla fine ho scoperto. Non me ne vorrà a male da lassù se continuo a ricordarlo come “Mario de Ciura”. E’ curiosissimo come i Tombesi e i Micozzi si siano incontrati più volte nei secoli. Oggi mio zio paterno Renzo Micozzi è sposato con Luana Tombesi e mio zio materno Gianfranco Perosci ha sposato Cristina Tombesi, sorella di Luana. Mio padre Sandro Micozzi ha sposto Gabriella Perosci, sorella di Gianfranco. Quindi se parlando con uno di loro si dice “tuo cognato” o “tua cognata” è come non aver detto niente; bene o male chiunque è cognato di chiunque. Benedetto Micozzi era nipote di una Tombesi e qui è chiaro il nesso. La più bella però è forse questa : Tombesi Jacobo, dei Tombesi detti “dall’Ova” provenienti da Ferrara e con ogni probabilità antenati anche dei Tombesi “Vernacchia” di Macerata, negli ultimi anni del 1300 acquistò una casa a Ravenna dopo essersi trasferito. Questa casa gli fu venduta dall’ordine dei Calzolari, il cui presidente all’epoca era Jacopo Micozzi (o Jacopo di Micozzo), mio antenato nonché primo Micozzi a portare quel cognome. |
Incredibile come più di 600 anni dopo i loro discendenti si siano incontrati proprio a casa Tombesi (mio padre e mia madre sembra si siano conosciuti lì, dal momento che i rispettivi fratelli erano fidanzati con le sorelle Tombesi). Come dicevamo con Stefano, autore di questo straordinario sito, i nostri cari vecchi (i “con suoceri multipli incrociati”) MARIO DE’ CIURA, NINI’ DE’ VERNACCHIA e FIORE DE’ PEROSCIU, probabilmente ci stanno guardando, o forse no, perché sono troppo impegnati a ridare vita alle epiche partite a carte che da piccolo trovavo noiose ma adesso pagherei per rivederle. Francesco Micozzi |